Bitcoin e gli Unicorni

Ora, io sarò pure uno stronzo, e nessuno si offenda, ma francamente non comprendo come un asset digitale possa costituire, per quanto giustamente e meritatamente egemonico come Bitcoin, lo strumento di rivoluzioni che vengono inquadrate in campi come filosofia, antropologia, pedagogia e chi più ne ha più ne metta.

In primis, a me pare invece che la questione sia del tutto opposta: il protocollo Bitcoin, immaginato da Satoshi Nakamoto come vera e propria moneta decentralizzata in grado di trasformare la pura informazione in oro digitale, oggi come oggi è utilizzato lungo direttrici fenomenologiche del tutto diverse, e come minimo parziali rispetto alla valenza rivoluzionaria che si immaginava. In altre parole, se l’uso come riserva di valore è obiettivo raggiunto e per molti versi addirittura superato, le questioni strettamente monetarie legate a unità di conto e soprattutto mezzo di scambio rimangono una pura astrazione.

La verità che in moltissimi fanno finta di non vedere è che Bitcoin si sta sempre più finanziarizzando, con l’ovvia conseguenza di un fantomatico Bitcoin Standard che non solo non si avvicina, ma addirittura si allontana dall’orizzonte dell’uso concreto.

Suvvia, siamo seri. C’è forse qualcuno di voi che spende nativamente satoshi per fare la spesa sotto casa, sottraendoli al faticoso e sacrosanto piano d’accumulo costante che li ha raggranellati? Che fate ogni mese? Convertite tutto il vostro stipendio — erogato, ricordiamolo, in fetida moneta fiat in un fetido conto corrente che siete costretti, e sarete sempre costretti ad avere — in BTC per poi riconvertirlo in euro per pagare pane, latte, benzina, bollo auto e rata mutuo, saltando di gioia per aver buttato nel cesso il potere d’acquisto mangiato dalle commissioni di conversione in entrata e in uscita?

La verità è una sola, peraltro confermata da tutte le statistiche in materia: Bitcoin è oggi usato come strumento — peraltro ottimo — per conservare o addirittura aumentare nel medio e lungo termine il potere d’acquisto relativo a quel poco, pochissimo denaro che chiunque abbia un nome diverso da Michael Sailor riesce a risparmiare dopo aver giustamente gettato in spese correnti la fetida moneta fiat di cui sopra.

Parliamo quindi di una materia digitale che oggi viene solo e unicamente accumulata, in gergo hodlata, conservata per avere domani qualche soldo reale in più, ossia una ragionevole plusvalenza.

Quindi, che fine fa la parte “coin” di Bit-coin?

Se vivessimo in un mondo dove tutti i servizi e prodotti avessero due pressi, uno in moneta fiat, l’altro scontato del 10% ed espresso al cambio corrente in BTC, allora la scelta del generico attore economico sarebbe molto semplice: compro BTC al 3-4% e li spendo risparmiando circa il 7-6% in termini di potere d’acquisto che mi rimane nel wallet digitale (rigorosamente non-custodial) sotto forma appunto di preziosi satoshi. Il problema è che le condizioni macroeconomiche per rendere possibile tale “offerta al consumo” non ci sono, e non accennano neppure minimamente a crearsi, in quanto, banalmente, il dato di “input salariale e industriale” rimane sempre confinato al mezzo monetario classico. Questo significa che il venditore di turno, che comunque paga i fornitori in euro o dollari, non ha evidente convenienza a operare uno sconto del genere, visto che poi, dovendo accumulare liquidità anche per ripetere il meccanismo acquistando altra merce o altri servizi basilari per il suo business, sarà sempre costretto a cambiare ancora una volta i BTC in euro o dollari.

Insomma, il classico cane che si morde la coda: il Bitcoin Standard ci sarà quanto Bitcoin sarà già uno standard; quindi, per definizione, non arriverà mai.

Al più potranno esserci delle accettazioni di natura locale, da economia circolare, magari motivata più da ragioni di “simpatia e supporto” che da reali motivazioni economiche di massimizzazione del proprio potere d’acquisto. In alternativa, il grande accumulatore seriale che si vedrà porgere in wallet una plusvalenza corposa andrà a comprarsi la moto, o la Lamborghini. Ma, finiti i satoshi “surplus”, sarà pure finita la plusvalenza, e dovrà ricominciare da capo il suo piano di accumulo.

Nulla di sbagliato, peraltro. Bitcoin (che, lo ricordo, è anche il mio mestiere, e quindi mi vede come soggetto totalmente al di sopra di ogni sospetto se si tratta di difendere la sua validità), che per forza di cose poteva essere immesso solo entro un’economia pregressa, è questo, e già fa la sua parte egregiamente. Ma per favore, finiamola di parlare di filosofie e unicorni.